Desta particolare attenzione il caso avvenuto a Roma dello scambio di embrioni e la problematica giuridica su chi debbano essere considerati genitori, potendo essere molto controverso se essi siano quelli genetici o quelli uterini (biologici).
Un prima soluzione è stata data dal recentissimo provvedimento del Tribunale di Roma, il quale si è trovato a decidere sul procedimento d’urgenza intrapreso dai genitori genetici, prodromico al riconoscimento della loro genitorialità.
Diciamo subito che il Giudice ha ritenuto di rigettare il ricorso mantenendo, quindi, l’affidamento dei gemellini ai genitori uterini.
In effetti esiste un vuoto normativo ed, allo stato attuale, il nostro Codice Civile, all’art. 269, prevede che “la maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre”, per cui difficilmente i genitori genetici avrebbero potuto ottenere l’accoglimento della domanda.
Consci di ciò essi avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale del detto art.269 C.C., nella parte in cui prevede che è madre chi partorisce il figlio senza eccezioni, dell’art.239 C.C. nella parte in cui prevede la possibilità di reclamare lo stato di figlio solo in caso di supposizione di parto o sostituzione di neonato, dell’art. 234 bis C.C. nella parte in cui viene limitata la legittimazione a proporre l’azione di disconoscimento di paternità, in relazione all’art. 263 C.C. che prevede che l’azione possa essere proposta da chiunque ne abbia interesse.
Il Tribunale preliminarmente riconosce che il nostro diritto non fornisce alcuna disciplina rispetto ai casi come quello di specie, per cui esiste un vuoto normativo da colmare con una corretta interpretazione; poi specifica che non si tratta né di un caso di fecondazione eterologa, né di un caso di maternità surrogata, mancando totalmente la volontà di tutte le parti ad una delle dette procedure, ma si tratta di un nuovissimo caso di “eterologa da errore” o di “surroga materna da errore”.
La prova della maternità con il parto è, come abbiamo detto, stabilita dall’art. 269 C.C., che, in effetti, è alquanto datato, essendo stato introdotto nel 1975, quando le tecniche di fecondazione assistita erano agli albori, per cui difficilmente se ne poteva tener conto al tempo, ma detta norma è rimasta invariata anche a seguito della nuovissima riforma della filiazione del 2013, per cui la sua formulazione è stata confermata anche di recente, con la conseguenza che (se non si ritenesse una mera disattenzione, il che è alquanto probabile) ragionevolmente bisognerebbe dare l’interpretazione che il legislatore abbia voluto mantenere il legame materno tra il neonato e chi lo ha materialmente partorito, indipendentemente dalle vicende genetiche.
Peraltro, ricorda il provvedimento, “il rapporto di filiazione – ed il conseguente diritto all’identità personale- si è andato sempre più sganciando nel nostro ordinamento dall’appartenenza genetica, potendosi rinvenire, grazie al rilievo rivoluzionario delle nuove tecniche riproduttive, diverse figure genitoriali; la madre genetica (la donna cui risale l’ovocita fecondato), la madre biologica (colei che ha condotto la gestazione) e la madre sociale (colei che esprime la volontà di assumere in proprio la responsabilità genitoriale); il padre genetico ed il padre sociale; figure che possono anche di fatto non coincidere”.
Anche il concetto di famiglia si starebbe distaccando dal mero dato biologico e/o genetico dei componenti, assumendo sempre più importanza la concezione di luogo di affetti e reciproco sostegno.
A fronte di ciò la vera bussola da seguire per la soluzione di intrigate problematiche, come quella che ci occupa, è il solo bene ed interesse del minore, vera linea guida che deve essere unico l’unico faro che possa guidare ad una conclusione ragionevole ed eticamente accettabile.
Di detta centralità il Tribunale fornisce chiara indicazione e la sostiene con ampie citazioni di diritto interno ed internazionale, nonché precedenti giurisprudenziali anche a livello costituzionale.
A fronte di ciò appare evidente che la madre uterina, anche in considerazione del fatto che i gemelli sono già nati, è la più adatta al loro sereno sviluppo, dato che, secondo la letteratura scientifica unanime, proprio nell’utero si crea quel legame simbiotico tra nascituro e madre e che solo quest’ultima sarà in grado di allattare il minore, senza contare che i gemelli, fin dai loro primi giorni di vita, hanno instaurato un solido rapporto con entrambi i genitori uterini i quali li hanno già inseriti nella propria famiglia.
Per le su dette ragioni, quindi, il bene dei neonati appare ragionevolmente quello di mantenerli nella famiglia della partoriente.
A fronte di ciò il Tribunale non ha ritenuto che sussistessero motivi per sollevare alcuna questione di costituzionalità, dato e soprattutto perché le norme che si volevano sottoporre al Giudice delle Legg, e che hanno portato al riconoscimento dei genitori uterini quali unici genitori legittimi, rispondono “pienamente, nel caso concreto, agli interessi dei minori coinvolti”.
Le conclusioni sono certamente condivisibili dal punto di vista dell’applicazione della normativa vigente, resta l’amaro in bocca di un caso assolutamente prevedibile e che il nostro legislatore, anche recente, ha totalmente ignorato, così come restano le perplessità sui confini che ci sono dati nell’intervenire sull’essere umano superando la natura ed aprendo a problematiche, prima inesistenti, che debbono essere attentamente approfondite sotto il profilo etico e morale, prima ancora che giuridico.