Quanti in occasione di aver ricevuto una multa vorrebbero dirne quattro al vigile, la Cassazione, in una recente sentenza, ammette la liceità di un attacco verbale purchè esso non costituisca gratuita offesa personale, rientri nel legittimo diritto di critica, abbia carattere di pertinenza e continenza.
Ci spieghiamo meglio.
Nel caso venuto all’esame degli Ermellini l’imputato, esasperato dall’eccessivo rigore del comandate dei vigili urbani nel dispensare multe in città, con un comportamento forse troppo solerte, aveva inviato una lettera di protesta lamentando un “uso inaudito di ganasce, angherie dichiaratamente sofferte e interventi sanzionatori mirati” e definendo il detto pubblico ufficiale “educatore e castigatore di inermi cittadini”.
Detta definizione gli era costata la condanna per diffamazione nei primi due gradi di giudizio, condanna totalmente annullata dalla Cassazione, la quale ha ritenuto la frase usata pienamente legittima in quanto rientrante nel diritto di critica che ognuno ha in relazione alla professionalità ed all’agire anche di un pubblico ufficiale nell’ambito dei propri compiti istituzionali.
Tale diritto di critica, però, deve essere esercitato con espressioni pertinenti alla critica stessa e rispettose del limite della continenza, senza sconfinare, quindi, in epiteti insultanti ed eccessivi rispetto ai contenuti oggettivi delle obiezioni all’operato ed al modo di agire che si intendono legittimamente avanzare.
In conclusione è stata ritenuta pienamente lecita l’espressione su detta (“educatore e castigatore di inermi cittadini”), così come appaiono lecite tutte quelle espressioni non gratuitamente offensive che, sia pur con toni aspri e coloritura di stile, siano pertinenti e formalmente continenti alla critica avanzata.
In tal senso l’orientamento della Suprema Corte appare pienamente condivisibile.