In questo momento politico così caldo sulla legge elettorale appare opportuno trattare nella nostra rubrica della storica sentenza n.1 del 2014, con la quale la Corte Costituzionale ha pronunciato l’illegittimità del sistema elettorale introdotto dalla L.279/05, il c.d. “porcellum”.
Di certo tale sentenza appare tra quelle di maggior incidenza politica mai emesse, sia pur mostrando una estrema cautela nella motivazione che lascia al legislatore la possibilità di adottare diverse scelte di disciplina in materia elettorale che possano essere conformi alla Costituzione.
Due sono i punti sui quali si è abbattuto il giudizio di incostituzionalità: premio di maggioranza; mancata previsione di almeno un voto di preferenza.
Sulla questione del premio di maggioranza, la Corte ha utilizzato il criterio della “ragionevolezza”.
Infatti, pur non prevedendo la Costituzione espressi principi in materia di formula elettorale, non è ipotizzabile un completo arbitrio del legislatore che debba ritenersi irragionevole.
Il principale presupposto sul quale muovere, in tal senso, è il principio dell’eguaglianza del voto, sancito dall’art.48 Cost. (“Il voto è personale ed uguale, libero e segreto.”).
L’applicazione di tale principio porta necessariamente ad un riparto dei seggi con criterio proporzionale.
Tale criterio, però, non è da considerarsi assoluto, infatti al legislatore appare consentito discotarsene per motivi degni di tutela, quale è, certamente, quello “ di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale”.
Pertanto, appare possibile e costituzionalmente orientata la soluzione di prevedere un premio di maggioranza, ma essa, in virtù del criterio della ragionevolezza, deve prevedere una congrua soglia minima che eviti una sovrarappresentazione della lista maggioritaria, che comporterebbe un’inaccettabile divaricazione tra la composizione del Parlamento e la volontà dei cittadini espressa dal voto.
Pertanto, è ammissibile un premio di maggioranza a condizione che ne sia prevista una soglia minima per accedervi e che non sia “eccessivo”.
Ovviamente il “porcellum” non aveva tali requisiti sia per la Camera, sia, ancor di più, per il Senato, per il quale, essendo il premio su base regionale, non vi era neppure la giustificazione della governabilità.
Sulla questione delle preferenze, il discorso è ancor più delicato e la Corte qui sembra veramente aver giocato con estrema finezza, dando, certo, un importante input ma cercando di lasciare il più possibile libertà al legislatore ordinario.
Infatti essa, pur sostenendo la incostituzionalità della mancata previsione almeno di un voto di preferenza, ha finemente motivato nel senso che la incostituzionalità sarebbe dipesa non tanto dalla mera mancanza di almeno un voto di preferenza, ma dalla contemporanea sussistenza di una eccessiva ampiezza delle circoscrizioni elettorali, dall’uso di liste bloccate per eleggere tutti i parlamentari e dalla facoltà di candidature multiple, elemento quest’ultimo che impedisce all’elettore di individuare con esattezza il candidato al quale andrà effettivamente il suo voto.
Pertanto, non è di per sé la sola lista bloccata che renderebbe incostituzionale la norma, ma la incostituzionalità deriverebbe dalla concomitanza di sistemi tali da rendere irrilevante o poco rilevante la scelta dell’elettore, così da incidere sulla ragionevolezza della norma.
Il che lascia la possibilità al legislatore di regolamentare, sempre in termini di ragionevolezza, con sistemi che garantiscano la rilevanza della detta scelta (ad es. preferenze, riduzione dell’estensione dei collegi, divieto di candidature multiple etc.).
Tanto detto al fine di chiarire la portata della sentenza de iure condendo, concludiamo nel rilevare quali siano gli effetti “giuridici” della sentenza riguardo al passato.
Sul punto bisogna, con chiarezza, affermare che il Parlamento eletto nel 2013 è assolutamente legittimo e con pieni poteri, sia in quanto la retroattività delle sentenza della Corte trova il limite dei rapporti esauriti e dei diritti quesiti, per cui chi è stato eletto, anche con una legge incostituzionale, rimane legittimamente nella propria carica, sia in quanto vige nel nostro ordinamento il principio della continuità dello Stato, che non consente alcuna delegittimazione del nostro Parlamento fino alle prossime elezioni.