Le Sezioni Unite della Cassazione ritornano sulla delicata problematica del comodato della casa familiare.
E’ alquanto usuale che i genitori di uno degli sposi dia ad essi (ed in particolare al proprio figlio o figlia) l’uso gratuito di un appartamento per le normali esigenze abitative della famiglia che, con il matrimonio, si è venuta a formare. I problemi sorgono quando interviene una separazione e detto immobile viene assegnato a chi ha l’affidamento (o anche la semplice collocazione) dei figli minori (normalmente la moglie), ma esso è di proprietà non dei genitori dell’affidatario, ma dei genitori del coniuge che si deve allontanare dall’appartamento stesso. Quindi i problemi sorgono quando, nel caso più comune, alla moglie viene assegnata la casa coniugale di proprietà dei suoceri.
E’ evidente il disappunto dei suoceri i quali vedono privare il figlio della casa di loro proprietà, che viene, così, utilizzata dalla nuora, nei confronti della quale di certo non ci sarà molto feeling.
In questo caso i due interessi da contrapporre sono da una parte quello dei proprietari che hanno concesso in comodato gratuito l’appartamento e dall’altro della moglie separata che ha necessità di continuare ad abitare in esso con i figli, al fine di garantire quella continuità di ambiente di cui i minori hanno bisogno soprattutto in un momento di crisi come quello della fine del matrimonio dei due genitori.
La soluzione è stata trovata partendo dalle due tipologie di comodato esistenti nel nostro ordinamento, la prima è quella regolata dagli artt.1803 e 1809 del Codice Civile, la seconda è quella del comodato c.d. precario disciplinato dall’art. 1810 del Codice Civile.
La prima tipologia prevede un termine di durata del contratto, per cui il comodatario è tenuto alla restituzione del bene oggetto del contratto (nel caso l’appartamento) alla scadenza del termine o anche prima a condizione che il comodante abbia un urgente ed imprevisto bisogno di ritornare nella libera detenzione del bene; la seconda tipologia è a tempo indeterminato e non prevede, quindi, alcun termine, in questo caso il comodatario è tenuto alla restituzione del bene a semplice richiesta del comodante.
Come si noterà l’inquadramento in una piuttosto che nell’altra delle due tipologie porta a conseguenze nettamente diverse.
La Cassazione, seguendo la corrente assolutamente maggioritaria, ha confermato che il caso che ci occupa rientra nella prima fattispecie, in quanto la concessione di un immobile per soddisfare le esigenze abitative familiari del comodatario, pur non avendo un preciso termine, è a tempo determinabile per relationem, che va individuato “nella destinazione di esso a soddisfare esigenze abitative della famiglia del comodatario”.
Determinato così il tempo, non resta che fare l’ulteriore passaggio dalla famiglia unita alla famiglia disgregata a seguito della separazione, in relazione alla quale non muta la natura ed il contenuto dell’originario titolo di godimento (esigenze abitative della famiglia), ma semplicemente viene concentrato in una persona (il soggetto affidatario dei figli) il titolo stesso, con la conseguenza che quest’ultima permarrà nel diritto di utilizzo dell’immobile.
Appurato ciò però non è detto che ogni volta che un appartamento venga concesso in comodato ad uso abitativo debba essere riconosciuta una durata pari alle esigenze della famiglia, infatti la destinazione a casa familiare, per essere ravvisata tale, deve essere il risultato di una accurata verifica della volontà delle parti, che tenga conto dei loro interessi, delle loro condizioni personali e sociali, nonché della natura dei loro rapporti.
E l’onere della prova di un comodato per esigenze familiari spetta a chi pretende di continuare ad utilizzare il bene dopo la separazione, quale affidatario dei figli.
Se tale prova viene fornita, l’unica possibilità per il comodante di ottenere il rilascio dell’appartamento è quella di dimostrare (come previsto dall’art. 1809 del Codice Civile) la sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno, che può anche essere il deteriorarsi delle proprie condizioni economiche generali, a seguito del quale insorge la necessità di vendere il bene per ottenere liquidità.
In conclusione, quindi, la Cassazione, sia pur mantenendo una impostazione piuttosto rigida sul diritto del coniuge affidatario dei minori a continuare ad utilizzare l’abitazione data in comodato da terzi ( nel caso i suoceri), ha dato una certa apertura per la tutela della proprietà sia dal punto di vista probatorio, onerando l’affidatario della prova del comodato per esigenze familiari, sia dal punto di vista sostanziale confermando il diritto del proprietario alla restituzione in caso di problematiche serie di carattere economico.